Le chat su WhatsApp sono sempre più protagoniste nei tribunali italiani. I giudici le considerano prove ammissibili sia in ambito civile che penale. Non si parla solo di messaggi scritti: anche i vocali, gli “ok” e persino le emoticon – come il pollice in su o un cuore – possono avere rilevanza giuridica.
Un “like” o un’emoji non sono più semplici reazioni istintive, ma possono indicare consenso, accettazione di obblighi o relazioni significative. Lo ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia (n. 1092/2022), dove l’uso di cuoricini è stato ritenuto sufficiente a motivare l’addebito della separazione. In modo analogo, il Tribunale di Napoli (sentenza n. 522/2025) ha stabilito che un semplice “ok” in una chat WhatsApp può confermare un accordo economico tra genitori.
Secondo la sesta sezione civile del Tribunale di Milano (sentenza n. 823/2025), anche un messaggio vocale su WhatsApp può provare l’esistenza di un accordo tra le parti, senza necessità di PEC o firma digitale.
Anche gli screenshot possono avere valore probatorio, ma solo se acquisiti correttamente. La digital forensics è fondamentale per garantirne l’autenticità: l’acquisizione deve essere lecita e tracciabile per essere ritenuta valida in giudizio.
Attenzione a come si raccolgono le prove: è fondamentale che ogni elemento venga estratto, conservato e documentato secondo criteri tecnici e giuridici precisi, altrimenti rischia di perdere efficacia in sede processuale.
iProtector, forte di una collaborazione continuativa con forze dell’ordine, tribunali e studi legali da oltre 20 anni, assiste privati e professionisti nell’acquisizione forense dei dati, garantendo il mantenimento del valore probatorio.